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Sono quasi cent’anni che è stato realizzato, nel 1905 dal Ludwig Roselins, il primo metodo di decaffeinizzazione.
È noto che molti effetti indotti dal caffè su alcune funzioni del nostro organismo sono legati alla caffeina, l’alcaloide che in tazzina è presente in quantità a 50 a 150 mg, con una media di 80, a seconda del tipo di caffè e delle modalità di preparazione. Si tratta quindi di un prodotto non solo adatto a soggetti sensibili e facilmente eccitabili, ma anche controllato e sicuro.
Oggi, anche se la ricerca scientifica ha ridimensionato alcuni supposti effetti indesiderabili del caffè e lo stesso ruolo della caffeina, vi sono ancora molte persone che continuano a preferire il caffè decaffeinato.
Attualmente i metodi impiegati prevedono tre diverse possibilità:
- Con Solvente
Questo metodo consiste nel trattamento preliminare dei chicchi col vapore, quindi estrazione caffeina per mezzo di un solvente organico; dopo l’eliminazione del solvente residuo con vapore si effettua l’essicazione del caffé crudo decaffeinato. - Con acqua
Si utilizzano degli estrattori a colonne nei quali i chicchi di caffé sono trattati con un estratto acquoso contenente circa il 15% di sostanze solubili del caffé diverse dalla caffeina. Il trattamento deve durare almeno otto ore per riuscire a rimuovere circa il 98% della caffeina. I chicchi decaffeinati vengono poi seccati con aria calda. L’estratto viene riciclato dopo che é stata eliminata la caffeina per mezzo di carbone attivo. - Con anidride carbonica
I chicchi vengono inumiditi con vapore e acqua fino ad avere il 30% -50% di umidità e poi chiusi nell’estrattore insieme con l’anidride carbonica. La temperatura e la pressione vengono aumentate rispettivamente fino a circa 40-80°C ed a 120-180 atmosfere ed il flusso di CO2 estrae la caffeina. La CO2 viene poi riciclata rimuovendo la caffeina per mezzo di una diminuzione di temperatura o pressione, oppure per mezzo di carbone attivo.